BREVI RACCONTI di...
Mi guardo allo specchio e vedo una persona felice… eppure ne ho passate tante, davvero tante! Ho due cicatrici, una sulla fronte e l’altra sulla guancia. Sono due medaglie che porto con fierezza in bella mostra, mi dicono, ogni volta che le guardo, che almeno quella battaglia l’ho vinta, contro ogni aspettativa.
Ricordo sempre le parole dello zio <<Credi in te stesso!>>.
Lo zio, che bella persona! Devo tutto a lui, soprattutto il sorriso che adesso vedo riflettere in questo specchio. Si dice che il treno passa una volta nella vita. Io su quel treno ci sono salito, ma soprattutto ci è salito lo zio sedici anni fa. Non lo conoscevo e lui non conosceva me. Ero con mia sorella e con il mio fratellino più piccolo. All’epoca avevo nove anni. Camminavamo nei treni, vagone dopo vagone per racimolare qualche spicciolo per mangiare.
Avevamo provato varie tecniche per intenerire i cuori dei passeggeri ma con scarsi risultati. Tra l’indifferenza della maggioranza dei viaggiatori, allungavamo la mano per chiedere qualche moneta, ma i nostri volti provati dalla stanchezza e dalla fame, erano poco persuasivi. Al termine di ogni giornata, dopo diverse decine di treni attraversati dal primo all’ultimo vagone, per dodici ore, portavamo pochi euro a nostra madre che doveva anche pensare al nostro fratellino più piccolo.
Il nostro papà era morto da qualche mese. Il suo cuore non aveva retto al lavoro massacrante nei campi di pomodori. Un giorno vennero a casa i suoi padroni e ci diedero quell’orribile notizia: <<Mentre trasportava una cassa di pomodori sul camion vostro padre è caduto senza vita>>. Da quel giorno non ho mangiato più pomodori.
Il mio papà aveva una grande passione. Mi raccontava sempre che la sera lui e suo padre suonavano la fisarmonica. Conosceva tutte le musiche tradizionali della sua terra, la nostra terra, l’Africa.
In Africa non ci sono mai stato, sono nato qui, così come i miei fratelli, ma la conosco dai racconti dei miei genitori. Anche le melodie le avevo imparate a conoscere strimpellando la fisarmonica.
Fu proprio quello strumento la chiave di svolta del nostro lavoro.
<<Suonerò la fisarmonica nei treni!>> dissi a mia sorella.
Dalla mattina successiva cambiammo copione: facce pulite e sorridenti, abiti colorati e soprattutto la musica della nostra terra che veniva fuori da quello strumento che fino al giorno prima era stipato nella cassapanca come una reliquia.
Iniziai con dei motivetti semplici che ripetevo in ogni vagone. Le facce dei viaggiatori, che fino al giorno precedente erano infastidite dalla nostra presenza, iniziavano a sorriderci e il barattolino nelle mani del mio fratellino si riempiva velocemente di tintinnanti monetine.
Dopo il primo treno avevamo fatto più soldi dell’intera giornata precedente.
Qualche giorno dopo vidi per la prima volta lo zio. Era seduto nella seconda carrozza intento a leggere il giornale. Appena iniziai a suonare abbassò il giornale, fissò le mie dita e mi sorrise. Quella melodia la conoscevo a memoria, quindi non guardavo le mie mani sui tasti in modo da poter seguire il mio fratellino con lo sguardo.
Quell’uomo non toglieva lo sguardo dalla mia fisarmonica finché mio fratello gli andò vicino e gli disse <<Signore, ci regali una moneta?>>. Lui lo guardò e sorrise <<Certo! Siete molto bravi!>> dalla tasca prese una banconota da cinque euro e la mise nella lattina.
Quel regalo così generoso fu osservato da tutti, ma una volta che terminai di suonare, per cambiare vagone, lo zio riaprì il giornale e riprese a leggerlo tra gli sguardi ancora increduli degli altri viaggiatori.
Anche il giorno dopo lo incontrammo, così come tutti gli altri giorni a venire. Sembrava quasi che ci aspettasse insieme alla sua generosa banconota da cinque euro. Qualche settimana dopo non prese il solito treno affollato di passeggeri ma uno più tardi. A metà mattinata i vagoni erano quasi tutti vuoti. Non appena lo vedemmo, sapendo della sua lauta mancia, gli suonammo una musichetta tutta per lui.
<<Se mi suoni un’altra musica ti do dieci euro>> disse l’uomo.
Non persi tempo così gli feci ascoltare quanto conoscevo.
<<Bravo! Meritate un bel premio!>> concluse l’uomo. Prese dalla sua tasca una banconota da venti euro e ce la diede.
Oramai il treno era giunto al capolinea e lui scese con noi.
<<Lì c’è un bar, vado a fare colazione, se mi seguite vi offro un cornetto con cappuccino!>>
Non ce lo facemmo ripetere la seconda volta e così, in men che non si dica, eravamo seduti con lui al tavolino dello chalet. Fino ad allora avevamo solo visto da lontano quelle prelibatezze e non immaginavamo quanto fossero buone. Gli raccontammo la nostra storia. Scoprimmo che era il preside di una scuola elementare e che sua moglie era una professoressa.
<<Anche io da piccolo suonavo questo strumento, ma tu sei molto più bravo di me. Avrei voluto fare il musicista, ma mio padre all' epoca non volle!>> raccontò con uno sguardo triste.
Restammo seduti a quel tavolino per un bel po' di tempo poi, prima di salutarci, chiese alla cameriera un sacchetto con cinque cornetti.
<<Questi li portate a casa e li mangiate con la vostra mamma e il vostro fratellino>>.
Prima di salutarlo lo ringraziai, mai nessuno ci aveva dedicato tante attenzioni. <<Ci vediamo sul treno!>> ci disse.
Il mio fratellino lo strinse forte <<Ti voglio bene zio!>> facendo ridere tutti noi.
Da quel giorno, l’appuntamento con lo “zio” divenne fisso e ogni volta ci regalava un sacchetto con cornetti, brioches o dolcetti.
Purtroppo per noi, qualche tempo dopo, un gruppetto di balordi di un campo nomadi decise di farci la guerra. Era sera e facevamo ritorno a casa. Loro erano nascosti dietro ad alcuni cassonetti dei rifiuti, presero l’incasso della giornata e distrussero la fisarmonica con delle assi di ferro.
<<Non vogliamo più vedervi sui treni. Da oggi ci siamo noi!>> urlò uno di loro colpendomi con due pugni e ferendomi a causa dell’anello di ferro che indossava.
Facemmo ritorno a casa impauriti e disperati. Non avevamo più la fisarmonica, ma soprattutto non avevamo più come poterci sostenere.
Passarono pochi giorni e alla porta della nostra casa bussarono due persone. Andai ad aprire. Non potevo credere ad i miei occhi. Feci un grande urlo <<Zio!>>
Corsi ad abbracciare il nostro amico che era venuto a trovarci insieme alla moglie.
Venne alla porta anche mia madre ed i miei fratelli. <<Prego accomodatevi!>> disse mamma facendo entrare quelle persone in casa.
<<Ho saputo quanto vi è accaduto. I vostri aggressori sono stati arrestati grazie alle telecamere di sorveglianza>> disse l’uomo.
<<Mio marito mi ha tanto parlato di voi e della vostra storia, così abbiamo pensato di regalarti una nuova fisarmonica>> aggiunse la donna che mi porse una scatola colorata che aveva portato con sé.
Fui felicissimo. Aprì la scatola e corsi ad abbracciarli.
<<Come posso sdebitarmi?>> disse mia madre.
<<Semplicemente facendo ascoltare a mia moglie quanto è bravo tuo figlio a suonare questo strumento>> concluse l’uomo.
Suonai tutte le canzoni che conoscevo e trascorremmo un bel pomeriggio in loro compagnia cantando e ridendo.
Prima di salutarci lo zio divenne serio e volle parlare da solo con mia madre. Si chiusero nella stanza tutti e tre e noi restammo nella stanza accanto. Misi l’orecchio alla porta e riuscì ad ascoltare quanto si dicevano.
<<Noi vorremmo farti una proposta>> disse l’uomo. <<Abbiamo una casa molto grande e non abbiamo figli. Venite tutti ad abitare da noi. I bambini potranno andare a scuola, pagheremo tutto noi e tu ci aiuterai nelle mansioni domestiche e nel contempo potrai badare ai ragazzi. Entrerete a far parte della nostra famiglia>> continuò la moglie.
Noi dall’altra parte della porta eravamo al settimo cielo, ma stranamente nostra madre non diceva nulla, farfugliava parole incomprensibili.
<<Qui non avete futuro. Noi mettiamo a vostra disposizione quanto abbiamo!>> soggiunse lo zio. Fu proprio allora che facemmo irruzione nella stanza <<Noi siamo d’accordo!>> dissi.
<<Quest’uomo ci vuole bene!>> aggiunse mia sorella.
<<E va bene! Accettiamo la vostra proposta>> disse mamma scoppiando in un gran pianto liberatorio.
Ci abbracciammo tutti.
Sono passati sedici anni da quel giorno. Siamo andati a scuola e siamo stati tutti adottati dallo zio e dalla zia. Ho seguito i suoi consigli ed ho studiato pianoforte. Tante ore di studio, di esercizio e di sacrifici e lui mi era sempre accanto ad incoraggiarmi e a fare il tifo per me.
Adesso sono qui a guardarmi nello specchio. I segni di quell’aggressione sono ancora visibili sulla mia pelle. Le mani un po' mi tremano. È l’emozione del debutto. È proprio vero che nei camerini del teatro si rivive tutta la propria vita come se fosse un film. Per la prima volta dovrò esibirmi in un teatro pienissimo da solo al pianoforte. Andrà tutto bene, in prima fila c’è lo zio che fa il tifo per me!
GIORGIO LA MARCA