Sono passato in quella piazza centinaia di volte, o forse di più, in bici, in auto o a piedi rincorrendo il bus 175. Ho percorso quegli incroci sia col freddo che col caldo, di giorno e di notte, sempre con un pensiero diverso nella testa e con una destinazione nuova da raggiungere. Una cosa, però, rendeva uguale quei momenti: ero sempre distratto dai miei impegni e non ho mai notato cosa mi stesse intorno.
Quel giorno accadde qualcosa che sconvolse i miei piani.
Erano circa le undici di una calda mattina di marzo. Del freddo dell’inverno c’era solo un vago ricordo e il tepore dei raggi del sole iniziava a far assaporare l’arrivo della primavera. I cappotti erano nuovamente incellofanati e, dagli armadi, ritornavano sugli attaccapanni le giacche più leggere.
Quella mattina volli fare qualcosa di più. Per onorare l’arrivo della nuova stagione, indossai il giubbino di jeans e salì in sella alla mia bici per raggiungere i miei clienti.
Molti credono che il mio lavoro sia noioso, ma io mi diverto tanto e mi trovo a mio agio tra numeri, conti e dichiarazioni dei redditi. È un lavoro che mi fa stare tante ore dietro ad una scrivania. Per renderlo più dinamico, ogni mattina faccio visita ai miei assistiti direttamente nei loro negozi per controllare che tutto vada avanti nel rispetto delle regole. Questa cosa ha i suoi aspetti positivi: passeggio, curo i clienti e ne trovo di nuovi, ma soprattutto assaggio i dolci appena sfornati della pasticceria di Giulio, il pane alle noci della panetteria di Giorgio… una prelibatezza; monitoro come va la moda con i nuovi arrivi all’atelier di Marianna e finanche i gusti delle persone nel complesso mondo dei profumi, nel negozio dei gemelli De Luca.
Alle undici di quella mattina, passai per l’ennesima volta in piazza con la mia bici. Come al solito c’erano tante auto che sfrecciavano nei vari sensi di marcia e i vigili, come degli eleganti maestri d’orchestra, con i loro movimenti, indirizzavano i flussi dei mezzi.
Purtroppo una buca tra i sanpietrini mise fine alla marcia della mia bici. La ruota posteriore si squarciò e fui costretto a fermarmi. Fortuna volle che pedalavo al lato di un grande marciapiede, così senza arrecare pericolo e intralcio, ci salì frettolosamente sopra e raggiunsi una panchina vuota davanti ad un’aiuola.
Misi il cavalletto alla bici, poggiai a terra la mia borsa e presi posto sulla panchina contemplando il danno alla ruota e rimpiangendo di aver lasciato l’auto a casa.
<<Ercole colpisce ancora!>> disse una voce dietro di me. Mi voltai e vidi un uomo nell’aiuola impegnato a spargere qualcosa sul terreno. Non riuscì a vederlo in volto perché era di spalle. Non diedi peso alle sue parole e iniziai una ricerca nella rubrica del mio cellulare per trovare qualcuno disposto a venirmi a riprendere.
Pochi istanti e nuovamente l’uomo disse qualcosa. <<Almeno hai il primato della giornata. Sei la prima vittima!>>.
Mi guardai intorno e, a parte noi due non c’era nessun altro, quindi capì che quelle parole erano rivolte a me.
<<Dice a me?>> gli chiesi.
<<Certo! Mi piacerebbe che questi alberi potessero sentirmi e rispondere ma non credo sia fattibile, quindi ce l’ho con te!>> rispose l’uomo sempre di spalle e attento a quanto stava facendo.
<<Ho dato un nome a quella buca. Si chiama Ercole! È più forte delle ruote. Buca tante ruote al giorno e nessuno viene a ripararla. Andate tutti di fretta! Bucate, aggiustate e scappate via, dimenticando di avvisare quei vigili che laggiù ballano la samba al centro della strada. Ho sentito dare sfogo all’ira in tante lingue: italiano, spagnolo, francese. Il più simpatico è stato qualche giorno fa, un cinese o giapponese, ne ha dette talmente tante che mi sono seduto sulla panchina a godermi lo spettacolo. Ma nessuno fa la cosa più ovvia: pensare a chi viene dopo e può trovarsi nella stessa situazione…>>
Quell’uomo iniziò ad incuriosirmi, così mi alzai e lo raggiunsi. Restai un po' a guardare cosa lo tenesse tanto impegnato. Aveva una sacca di stoffa agganciata alla sua cinta. Dal suo interno prendeva qualcosa a manciate e lo lanciava sul terreno dell’aiuola.
<<Cosa sta facendo?>> gli chiesi.
<<Semino!>>rispose.
<<Cosa?>> continuai a chiedere incuriosito.
<<Girasoli>>.
Quella sacca era dunque piena di semi di girasoli che l’uomo con molta attenzione spargeva sul terreno.
<<Ma li sta seminando o sta dando da mangiare ai piccioni?>> gli chiesi sorridendo, facendogli notare con quale voracità gli uccelli dietro di lui stessero rovistando nel terreno per accaparrarsi i semini.
A quel punto l’uomo si voltò e mi rispose <<In ogni caso avrò fatto una cosa buona. Il seme non andrà sprecato. O sazierà un piccione o nascerà un fiore!>>.
Restai ammutolito. La bella risposta dell’anziano signore rimase sospesa nell’aria come sospesa fino a quando il volto di quell’anziano signore catturò la mia attenzione. I suoi occhi mi fecero fare un salto nel tempo di circa una ventina d’anni.
<<Ma lei è il professore Gargiulo?>> gli chiesi subito.
<<Si! In pensione!>> rispose l’uomo sorridendo.
Era stato il mio professore di filosofia al liceo. Un uomo tutto d’un pezzo famoso in tutto l’istituto per essere esigente nelle interrogazioni e dal braccino corto con i voti, ma anche amato da tutti perché spiegava la sua materia in modo avvincente. Mai avrei immaginato di incontrarlo mentre si affaccendava nell’aiuola di quella piazza.
<<Sono stato un suo alunno! Landolfi della sezione D!>> gli dissi.
<<Landolfi… diplomato nel ’95. Secondo banco, media dell’otto! Testa calda, ma ottimo studente!>> continuò l’uomo corrugando le sopracciglia e visibilmente impegnato a rovistare nella sua mente alla ricerca dei ricordi legati alla mia carriera scolastica.
<<Ottima memoria!>>.
<<Cosa fai adesso, a parte rompere le ruote nelle buche?>> mi chiese l’uomo.
<<Il commercialista!>> gli risposi.
Il professore venne fuori dall’aiuola, mi strinse la mano e sedette accanto a me. In quel momento passò il garzone di un bar e gli chiesi di portarci due caffè e due cornetti.
Parlammo oltre due ore come due vecchi amici.
Il professore mi raccontò la sua vita. Era in pensione da oltre quindici anni ed era solo: la moglie era morta quando lui ancora era in servizio. Il suo unico figlio si era trasferito in America e non lo vedeva da tanto tempo. Viveva da solo e non aveva nessuno con cui parlare. Il suo unico svago era quell’aiuola che lui curava come se fosse il giardino della sua casa.
A scuola quell’uomo incuteva timore solo ad incrociare il suo sguardo ma aveva segnato profondamente, con le sue lezioni e il suo esempio, la vita dei suoi studenti. Ci aveva fatto amare una materia complessa rendendola addirittura “affascinante ed avvincente”. Adesso era lì su quella panchina con un sacchetto di semi di girasoli che ancora gli penzolava dai pantaloni e con qualche piccione che ci gironzolava intorno.
<<Ricordo ancora le sue lezioni!>> gli dissi poco prima di andare via.
Prese una manciata di semi dalla sacca e la lanciò ai suoi piedi.
<<Questo è stato sempre il mio lavoro. Lancio i semi. Tanti venivano consumati “al momento” di fretta e furia per avere uno sterile sei. Pochi entravano a contatto con la terra per ambire a qualcosa di più, e col tempo sono venuti fuori dei fiori meravigliosi. Sono certo che tu sei quel fiore di cui, con tanto amore, ho piantato il seme!>>.
Lo salutai e andai via trasportando a mano la mia bicicletta, ma prima ringraziai Ercole per avermi dato la possibilità di rincontrare quell’uomo.
Durante la notte non riuscivo a prendere sonno, mi rigiravo nel letto come una trottola: sapere il professore da solo mi intristiva. Così presi una decisione.
La mattina successiva telefonai tutti i miei ex compagni di classe. Avevamo più volte fatto delle rimpatriate e quindi avevo tutti i loro numeri. In quelle cene, ricordo, più volte avevamo parlato del professore Gargiulo e dei suoi insegnamenti. Raccontai a tutti di quanto era accaduto il giorno precedente e ci demmo appuntamento per il giorno successivo vicino all’aiuola della piazza.
La mattina dopo c’eravamo proprio tutti. Ognuno con un regalo diverso.
Lo trovammo come al solito impegnato a seminare i girasoli.
<<Professore buongiorno!>> gli dissi.
L’uomo si girò e restò senza parole nel vederci tutti lì schierati davanti a lui con uno striscione tra le mani “Siamo i fiori del suo campo”. Fu proprio una bella sorpresa. Fu una mattinata emozionante per lui quanto per noi. Trascorremmo tante ore a parlare degli anni passati insieme.
Da quel giorno ci organizzammo e a rotazione passavamo a salutare il professore restando lì con lui anche per pochi minuti, anche solo per il tempo di un caffè consumato di fretta e furia. Quell’aiuola diventò per ognuno di noi una meta fissa.
Vale la pena seminare… prima o poi dei fiori sbocceranno.
GIORGIO LA MARCA
BREVI RACCONTI di...